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Tra i profili della tutela della privacy che destano maggiore preoccupazione e sono oggetto di interventi da parte delle Autorità nazionali e sovranazionali preposte alla tutela dei dati personali, hanno assunto rilievo quelli connessi con l’attività lavorativa. Lo sviluppo tecnologico e l’impiego massivo dell’elaboratore elettronico per lo svolgimento delle mansioni, infatti, hanno determinato maggiori possibilità di intrusione nella sfera personale dei lavoratori, i quali possono essere facilmente posti sotto controllo dai propri datori di lavoro, attraverso un costante monitoraggio invisibile della loro attività, sia durante che successivamente all’orario di lavoro. Il monitoraggio da parte del datore di lavoro, attraverso ad esempio la consultazione del server aziendale, consente allo stesso di conoscere quali e quanti messaggi di posta elettronica il lavoratore ha inviato o ricevuto, quali siti della Rete ha visitato e il tempo per cui si è protratto il collegamento. L’invasività del controllo quindi, può non esaurirsi nella verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa, ma può interessare momenti di vita privata del lavoratore, rispetto ai quali la tutela deve essere pienamente garantita. Ed è proprio sul binomio legittimità e limiti al controllo del lavoratore che si incentra la recente pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale con una sentenza dai connotati parzialmente innovativi, ha alimentato il dibattito italiano sul tema, alla luce delle modifiche apportate dal “Jobs Act”, all’art.4 dello Statuto dei Lavoratori. […]

Testo in inglese……………………………..

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