ANGELETTI S. – La questione del velo integrale torna a Strasburgo. Brevi considerazioni intorno a Dakir c. Belgique e Belcacemi et Oussar c. Belgique.

Abstract

Con le recenti sentenze Dakir c. Belgique e Belcacemi et Oussar c. Belgique, pronunciate dalla Seconda sezione della Corte europea dei diritti umani, i giudici di Strasburgo tornano sulla questione del velo integrale a non molta distanza dalla ben nota decisione S.A.S. v. France del luglio 2014. Le due controversie mostrano più di una somiglianza con il caso francese, a partire dai percorsi legislativi che hanno condotto prima la Francia nel 2010, subito dopo il Belgio (giugno 2011), a promulgare un divieto di comparire in luogo pubblico con il volto travisato, adducendo ragioni essenzialmente legate ai profili di sicurezza, al principio di eguaglianza tra uomini e donne e al rispetto del valore sociale della pacifica convivenza in un clima di apertura e di dialogo, compendiato nella formula del “vivre ensemble”. Forti analogie emergono anche nelle considerazioni con le quali le rispettive Corti costituzionali hanno avallato la scelta parlamentare sul piano costituzionale. Non sorprende, dunque, che le doglianze oggi introdotte di fronte a Strasburgo ripropongano (seppure in termini più sintetici) gli stessi nodi problematici e le stesse valutazioni poste all’attenzione dei giudici nel caso S.A.S. v. France. […]

In the recent cases Dakir c. Belgique and Belcacemi et Oussar c. Belgique, the European Court of Human Rights upheld the decision rendered in the well – known 2014 case, S.A.S. v. France, regarding the burqa/niqab ban in public spaces. Establishing that the 2011 Belgian law, sanctioning the wearing in public of a face-covering veil, is compatible with the limitations provided in Article 9 ECHR, the Strasbourg Court applied all the arguments seen in the French case.
Before else, the ruling relied on the criterion of “vivre ensemble”, conceived as a requisite value for social cohesion and respect for pluralism and which can be subsumed into the protection of “rights and freedoms of others” for the sake of being held legitimate under Article 9. It shall be argued that the principle of “living together” is too vague and ambiguous a tool to be used as a juridical reason to justify a limitation on individual freedoms, therefore leaving space for other, more meaningful means, like the (material) concept of public order
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