Processo canonico di nullità matrimoniale e diritto di difesa quale limite all’efficacia civile della sentenza ecclesiastica |
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Il Concordato stipulato nel 1929 fra Italia e Santa Sede prevedeva all’art. 34 la possibilità che il matrimonio celebrato in forma canonica conseguisse effetti civili in virtù della trascrizione nei registri di stato civile. Si stabiliva altresì che la giurisdizione in ordine alla validità di tali matrimoni canonici trascritti, cosiddetti concordatari, fosse riservata alla giurisdizione ecclesiastica e le relative sentenze potessero ottenere riconoscimento nell’ordinamento statale. L’Accordo di Villa Madama del 1984 ribadisce simili previsioni introducendo tuttavia, ai fini dell’attribuzione di efficacia civile alle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, la necessità di una sorta di giudizio di delibazione, analogo al procedimento all’epoca necessario per il riconoscimento delle sentenze straniere. Alla luce della nuova normativa pattizia, sollecitata dalle innovazioni introdotte dalla sentenza n. 18/82 della Corte Costituzionale italiana, la Corte d’Appello chiamata a valutare l’attribuzione di efficacia civile alla sentenza ecclesiastica è tenuta a verificare la sussistenza di una serie di requisiti, fra i quali figura il rispetto del diritto di agire e resistere in giudizio nel processo canonico. L’art. 8.2, lett. b, dell’Accordo di Villa Madama, reso esecutivo con L. 25.3.85 n. 121, richiede infatti da parte della giurisdizione statale l’accertamento “che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano”. [...]
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