Esposizione di simboli e libertà religiosa: il caso del crocifisso nelle aule scolastiche |
|
|
In tema di libertà religiosa negli ultimi anni ha suscitato particolare interesse la questione dei simboli che denotano l’appartenenza di singoli o gruppi ad una determinata confessione ovvero, quando esposti per disposizione delle pubbliche autorità, possono indicare il favore delle istituzioni nei riguardi di una certa religione. Il problema richiede attenzione in quanto, se da un lato appare logico e doveroso riconoscere a chiunque il diritto di comportarsi secondo i dettami della propria coscienza, e dunque consentire in linea generale di indossare gli abiti o gli accessori o i simboli che il soggetto preferisce e ritiene utili e confacenti alle proprie esigenze, d’altro lato ci si preoccupa di rispettare e tutelare anche la libertà di coloro che, entrando in contatto con i primi, possono essere per certi versi costretti a subire, o quanto meno tollerare, le scelte e manifestazioni simboliche e rituali altrui, senza contare le eventuali legittime limitazioni che potrebbero comunque rendersi necessarie, ad esempio per motivi di salvaguardia dell’ordine pubblico, come nell’ipotesi in cui si vietasse un vestiario dalle caratteristiche tali da rendere la persona irriconoscibile. Le accennate questioni si sono agitate in epoca recente, sotto vari profili, in diverse realtà statali, tanto da indurre ad esempio la Francia, pur considerata modello di laicità, ad introdurre una discutibile legge che vieta alle persone l’esposizione di simboli religiosi evidenti. Ma anche in altri Paesi si sono presentate problematiche analoghe, attinenti soprattutto alle difficoltà derivanti dall’utilizzo in pubblico del velo islamico e fattispecie similari, che già in passato hanno richiesto l’intervento della Corte europea dei diritti umani (Dahlab v. Switzerland, n. 42393/98, 15.2.01; Leyla Sahin v. Turkey, n. 44774/93, 10.11.05).[...]
|
|
|
|
|
|