La pronuncia in commento costituisce un precedente di notevole rilievo, e di altrettanto prevedibile impatto, sulla disciplina italiana del cognome dei figli, che da tempo raccoglie la critica quasi unanime della dottrina ed alcune interessanti aperture della Corte Costituzionale, della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato e della giurisprudenza di merito, ma resta tuttora negletta, anche all’esito dell’approvazione della l. 219 del 19 dicembre 2012 sullo stato giuridico unitario dei figli, e del relativo decreto delegato, n. 154 del 28 dicembre 2013. Il caso origina dal rifiuto dell’Ufficiale di stato civile, richiesto di ricevere la dichiarazione di nascita di una figlia di coppia coniugata, di imporre alla bambina il cognome materno, pur constando in tal senso l’unanime volontà dei genitori. Il ricorso avverso il provvedimento veniva rigettato tanto in primo grado che in appello, e l’analoga decisione del giudizio di legittimità dipendeva dalla dichiarazione di inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale dell’obbligo del patronimico, pur apprezzata alla stregua degli obblighi nascenti dall’adesione alla Convenzione EDU, con cui la Consulta, pur riconoscendo che la regola denunciata è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia incompatibile con il principio di parità di cui agli artt. 3 e 30 Cost., come con le fonti internazionali pertinenti, aveva tuttavia rinunciato ad eliderne l’efficacia, per rimettere alla discrezionalità del legislatore la scelta tra le differenti opzioni praticabili, ed effettivamente ipotizzate da diversi progetti di legge (Corte Cost. 16 febbraio 2006, n. 61). [...]
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