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Globalizzazione e diritti

Il sistema americano di tutela dei diritti umani (a cura di Luisa Cassetti)

Alle origini del sistema americano di tutela internazionale dei diritti umani si colloca la Carta dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS) che riunisce trentacinque Stati membri e riconosce come organo supremo l’Assemblea generale. La Carta fu firmata durante la Conferenza di Bogotà del 1948 e in quell’occasione fu adottata con una risoluzione la Dichiarazione Americana sui diritti e i doveri dell’uomo. In questo quadro la tutela dei diritti umani vedeva protagonista la Commissione Interamericana sui diritti umani, organo nato da una risoluzione approvata dai ministri degli affari esteri degli stati dell’OAS nel 1960, decisione adottata a ridosso degli eventi rivoluzionari a Cuba.

Con l’approvazione della Convenzione americana sui diritti umani (Patto di S.José di Costa Rica, 1969) alla Commissione è stata affiancata la Corte Interamericana. Il sistema di garanzie definito dalla Convenzione americana è su base volontaria nel senso che i paesi membri dell’OAS non sono automaticamente coinvolti, in quanto essi possono ratificare il Patto ed eventualmente decidere di sottomettersi volontariamente alla giurisdizione della Corte. Questo meccanismo mirava a salvaguardare la sovranità degli Stati parte di quella organizzazione. In effetti tale soluzione ha pesato sull’effettivo consolidamento di un sistema giurisdizionale di protezione dei diritti umani nell’area latinoamericana: è sufficiente del resto ricordare che due dei paesi con la maggiore densità di popolazione - Messico e Brasile – pur avendo aderito alla Convenzione rispettivamente nel 1981 e nel 1992, hanno accettato la competenza della Corte solo nel 1998.

La Corte affianca così la Commissione Interamericana, un organo politico con sede a Washington D.C. che, operando nei confronti di tutti gli stati membri dell’OAS (e quindi non solo di quelli che hanno ratificato la Convenzione), è chiamato svolgere un’importante attività istruttoria, di indagine, di mediazione e di conciliazione in materia di violazioni dei diritti umani. La Commissione non è solo l’organo titolare delle funzioni di monitoraggio e controllo sul rispetto dei diritti umani da parte degli stati membri dell’OAS, ma ha acquisito grazie al Patto del 1969 la funzione di introduttore del giudizio dinanzi alla Corte Interamericana.

La Corte è un organo composto di sette membri designati dagli Stati che hanno ratificato la Convenzione ed è titolare di funzioni contenziose e di funzioni consultive. Nei giudizi in cui si discute della responsabilità di uno Stato e nessuno dei membri effettivi ha la nazionalità di quel paese, vi è la possibilità per quest’ultimo di nominare un giudice ad hoc.

Le decisioni rese dalla Corte in sede contenziosa sono vincolanti e inappellabili, salva l’ipotesi in casi eccezionali di una revisione del giudizio. L’eventuale condanna dello Stato per la presenza nell’ordinamento di una norma incompatibile con la Convenzione implica l’obbligo per lo stesso di rimuoverla ovvero modificarla per renderla coerente con la Convenzione. Mentre le funzioni consultive della Corte sono state attivate con una certa frequenza fin dal 1979, è solo intorno alla metà degli anni ottanta (1986) che ha cominciato a prendere forma il meccanismo della rimessione dei casi da parte della Commissione: in questo modo la Commissione, che aveva iniziato il suo percorso operando come organo politico dell’OAS, è diventata parte attiva del meccanismo di implementazione del sistema convenzionale di protezione giurisdizionale dei diritti umani.

Decisamente esteso è il parametro utilizzabile dagli organi del sistema americano. La Commissione può infatti ricevere denunce aventi ad oggetto la violazione dei diritti contemplati dai diversi Trattati che, insieme alla Convenzione ed ai suoi due Protocolli (Protocollo sui diritti economici sociali e culturali, 1988 e Protocollo sulla abolizione della pena di morte, 1990), definiscono il sistema americano di protezione dei diritti umani. Questo sistema comprende anche la Dichiarazione americana del 1948, la Convenzione per prevenire e sanzionare la tortura e le più recenti Convenzioni interamericane sulla sparizione forzata delle persone, sulla violenza contro le donne e sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle persone disabili.

Anche per ciò che riguarda la Corte è opportuno sottolineare l’estensione della sua giurisdizione in sede consultiva: nell’adozione dei pareri (adivisory opinions) - che possono essere richiesti da tutti gli stati membri OAS e dai vari organi politici operanti in ambito OAS al fine di verificare l’eventuale compatibilità degli atti normativi interni dello Stato con il sistema americano - la Corte può utilizzare come parametro non solo la Convenzione, ma anche le garanzie contenute nelle norme internazionali sui diritti umani contenute negli altri trattati “vigenti” negli Stati membri dell’OAS. Nell’ambito della giurisdizione contenziosa la Corte è competente a conoscere delle denunce che riguardano la violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione, a condizione che lo Stato abbia accettato la sua giurisdizione.


Il sistema africano di protezione dei diritti dell’uomo e dei popoli (a cura di Simone Vezzani)

Ad un decennio di distanza dall’adozione della Carta interamericana, all’inizio degli anni ’80 anche il continente africano si è dotato di un sistema regionale di tutela dei diritti umani, attraverso l’elaborazione, nel quadro dell’allora Organizzazione dell’unità africana, della Carta africana dei diritti umani e dei popoli, adottata a Banjul il 27 giugno 1981 ed entrata in vigore il 21 ottobre 1986. La Carta è stata ratificata da tutti i 53 Stati che compongono attualmente l’Unione Africana (organizzazione istituita nel 2002 che è succeduta all’Organizzazione dell’unità africana).

Sotto il profilo sostanziale, la Carta africana si distingue dal modello europeo ed inter-americano per l’enfasi posta sulla tutela, accanto ai diritti civili e politici, dei diritti economici e sociali. Questi ultimi sono protetti, oltre che nella loro dimensione individuale, come diritti spettanti a collettività umane (group rights). In particolare ben sei articoli della Carta (artt. 19-24) sanciscono “diritti dei popoli” – quali il diritto allo sviluppo e quello a disporre liberamente dello risorse naturali – riconducibili alla categoria dei c.d. diritti di “solidarietà”, o di “terza generazione”.

Dal punto di vista istituzionale, la Carta prevede la creazione di una Commissione africana dei diritti umani e dei popoli, composta da 11 giureconsulti che siedono a titolo individuale. Riunitasi per la prima volta nel 1987, la Commissione svolge numerose funzioni finalizzate alla promozione dei diritti umani in Africa. In particolare, essa ha il compito di esaminare i rapporti periodici forniti degli Stati contraenti della Carta e di pronunciarsi sulle comunicazioni di Stati che lamentino una violazione della Carta medesima ad opera di un altro Stato contraente. Inoltre, come la Commissione interamericana e la Commissione europea (prima dell’entrata in vigore del Protocollo n. XI), la Commissione africana è competente a ricevere istanze di individui, o di gruppi di individui, che alleghino una violazione, da parte di uno Stato contraente, di diritti garantiti dalla Carta. In ogni caso, che sia chiamata a pronunciarsi su istanza di Stati o di individui, la Commissione può adottare soltanto rapporti sprovvisti di forza vincolante. Anche il regime di pubblicità degli atti è oltremodo ossequioso nei confronti della sovranità degli Stati. I rapporti della Commissione sono infatti considerati riservati e sono resi noti come allegato al Rapporto annuale della Commissione, soltanto dopo aver ricevuto un’autorizzazione alla pubblicazione da parte dell’Assemblea dei capi di Stato e di governo dell’Unione africana (art. 59 della Carta).

Un’innovazione assai significativa per la tutela internazionale dei diritti umani in Africa è stata la creazione della Corte africana dei diritti umani e dei popoli, istituita dal Protocollo adottato a Ouagadougou (Burkina Faso) il 10 giugno 1998, entrato in vigore sul piano internazionale il 25 gennaio 2004 e ratificato, ad oggi, da 25 Stati. Oltre a svolgere funzioni consultive, la Corte esercita una giurisdizione contenziosa nei confronti degli Stati che siano parti contraenti del Protocollo, conoscendo dei casi sottopostile dalla Commissione o dagli Stati parti (art. 5, par. 1, del Protocollo). Inoltre, essa può essere adita direttamente da organizzazioni non governative e da individui, a condizione che lo Stato convenuto abbia accettato, con un’apposita dichiarazione, la competenza della Corte a conoscere di ricorsi individuali (cfr. Protocollo, art. 5, par. 3 e art. 34, par. 6 ).

Una peculiarità del sistema africano riguarda la competenza ratione materiae della Corte. Oltre a pronunciarsi in ordine ad allegate violazioni degli obblighi posti dal Protocollo di Ouagadougou e dalla Carta africana, secondo il combinato disposto degli articoli 3, par. 1, e 7 del sopra citato Protocollo, essa può infatti valutare il rispetto, da parte degli Stati convenuti in giudizio, di qualsiasi convenzione internazionale in tema di diritti umani di cui essi siano parti contraenti. Questa circostanza rappresenta una novità di grande interesse nel quadro della tutela internazionale dei diritti umani, introducendo nel contesto africano un meccanismo giurisdizionale di soluzione delle controversie relative all’interpretazione e all’applicazione delle grandi convenzioni sui diritti umani, in primis quelle elaborate nel quadro delle Nazioni Unite (Patto del 1966 sui diritti civili e politici e Patto del 1966 sui diritti economici, sociali e culturali, Convenzione del 1979 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ecc.).

La Corte, che ha sede ad Arusha, è divenuta operativa nel 2006. Ad oggi (maggio 2011) ha emanato due sole pronunce (una sentenza sul caso Michelot Yogogombaye c. Senegal del 15 dicembre 2009 e l’ordinanza sulle misure cautelari nei confronti della Libia adottata il 25 marzo 2011).

 


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Intervista a Luisa Cassetti e Angela Di Stasi sul loro libro "Diritti e giurisprudenza. La Corte interamericana dei diritti umani e la Corte europea di Strasburgo" (Jovene Editore)

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