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Libertà di pensiero, coscienza e religione
La scelta di utilizzare come directory principale la definizione di “libertà di pensiero, coscienza e religione” trova la sua motivazione nel titolo stesso adottato dagli autori della norma cardine in materia di tutela della libertà di religione nella CEDU, l’art. 9.
Come è noto, la Convenzione, nella interpretazione della Corte europea di Strasburgo, riconosce alla libertà in questione un contenuto ampio, tale da ricomprendere posizioni teistiche, ateistiche e agnostiche, in linea con quanto affermato anche a livello internazionale nei principali documenti elaborati in ambito ONU. Le directory secondarie sono state poi suddivise in libertà religiosa individuale e collettiva: si tratta di una classificazione operata soprattutto avendo riguardo al dato “storico” per il quale la libertà di pensiero, coscienza e religione nella CEDU incontra tutela nella sua dimensione primariamente individuale, in ossequio ad una scelta che la Convenzione fa in relazione a tutti i diritti umani.
La sensibilità degli organismi internazionali, all’indomani della Seconda Guerra mondiale, si concentra, come è noto, sulla dimensione individuale dei diritti, segnando una profonda differenza con i riconoscimenti passati delle libertà, strettamente connesse alla necessità di tutelare i gruppi (etnici, culturali, religiosi, linguistici) di minoranza. L’obiettivo di offrire protezione alle libertà del singolo si intreccia profondamente con il riconoscimento della dignità della persona umana come fondamento dell’agire sociale. Questo obiettivo conduce, in tema di religione, alla definizione della libertà religiosa come di una libertà inerente all’individuo in quanto tale, senza diretto legame con la sua appartenenza all’una o all’altra confessione o comunità religiosa.
Questo primo nucleo concettuale, tuttora fondamentale nella comprensione della norma dell’art. 9 come delle altre disposizioni internazionali di analogo tenore, si accompagna oggi ad una chiara rivisitazione del ruolo della dimensione collettiva della libertà di religione e di culto. Seguendo l’influsso delle teorie comunitariste e delle riflessioni teoriche sulle componenti dell’identità personale, e insieme dovendo affrontare i nodi cruciali della uguale libertà delle confessioni religiose e del rispetto del principio di non discriminazione tra gruppi religiosi, la sensibilità della Corte europea (come e forse più di quella di altri organi internazionali a carattere giurisdizionale) si sta decisamente orientando verso una interpretazione dell’art. 9 che garantisca le comunità religiose in sé considerate di fronte agli atteggiamenti che le istituzioni statali tengono, sia sotto il profilo normativo che sotto quello amministrativo e giurisdizionale.
La crescita del numero dei casi affrontati dalla Corte, aventi ad oggetto la libertà delle organizzazioni religiose nel rapporto con lo Stato o il riconoscimento da parte statale delle decisioni assunte in ambito confessionale, sembra richiedere una precisa collocazione a parte rispetto alle questioni legate alle espressioni individuali della libertà religiosa, motivando così la scelta di un’autonoma “casella” nella quale collocare i casi più rilevanti e più noti..

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Intervista a Luisa Cassetti e Angela Di Stasi sul loro libro "Diritti e giurisprudenza. La Corte interamericana dei diritti umani e la Corte europea di Strasburgo" (Jovene Editore)

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