ANGELETTI S. – Tra diritti religiosi dei genitori e rispetto dell’autonomia scolastica, quale spazio di tutela per il “best interest of the child”? Qualche considerazione alla luce del caso Osmanoğlu et Kocabaş c. Suisse.

Abstract

Con la decisione nel caso Osmanoğlu et Kocabaş c. Suisse la Corte europea dei diritti umani segna un importante passo in avanti nel riconoscimento dei diritti dei minori nelle questioni educative, una materia che da sempre costituisce un banco di prova impegnativo per le politiche statali e la cui complessità cresce in un contesto di pluralismo etnico, culturale e religioso. L’istruzione e l’educazione delle giovani generazioni coinvolgono più soggetti, portatori ciascuno di propri diritti e potenzialmente in conflitto con quelli altrui.

Un primo sguardo al diritto internazionale suggerisce di attribuire un ruolo di primo piano al diritto dei genitori di dare ai figli l’educazione più conforme ai propri convincimenti morali e religiosi. È questo l’obiettivo delle numerose disposizioni (art. 13 ICESCR; art. 18 ICCPR; art. 2, Primo Protocollo CEDU; art. 14 Carta dei diritti fondamentali UE) che impongono agli Stati di rispettare tale prerogativa nell’esercizio delle funzioni educative.

D’altro canto, ogni Stato gode di un legittimo interesse a promuovere, attraverso i progetti educativi scolastici, quei principi e valori che informano di sé le regole basilari della convivenza sociale, sancite nel dettato costituzionale e confermate dagli impegni assunti in ambito internazionale a tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Al centro si situa l’interesse del minore, punto di incontro dell’esercizio delle libertà delle istituzioni familiari e pubbliche ma anche autonomo soggetto in formazione, titolare di un proprio diritto di libertà religiosa e di educazione. […]

The ECtHR case Osmanoğlu et Kocabaş c. Suisse deals with parents’ religious rights, school autonomy and children’s rights to education and equality. The Court declared that the refusal by the school authorities to grant two young Muslim girls an exemption from swimming classes, for religious reasons (the classes are mixed until the age of puberty) does not violate their parents’ freedom of religion. The refusal was found legitimate on the grounds that sport activities in primary schools are designed to foster social inclusion and integration of pupils and, in so doing, the school authorities had exercised their rights to freely apply internal educational rules and adopt their own curricula. It will be assumed here that, from an international human rights perspective, the Court’s ruling complied with the legal standards provided by the Convention on the Rights of the Child, regarding equality between the sexes and non-discrimination in the matter of education. The refusal of the parents to let their daughters attend the swimming classes would have prejudiced their right to fully participate in school activities, without discrimination towards male students.