Enforcement delle decisioni della Corte di Strasburgo (CEDU)

The Enforcement of ECtHR Decisions

Negli ultimi anni, le pronunce della Corte europea per i diritti umani (CEDU) hanno assunto un contenuto sanzionatorio più ampio di quello che era stato originariamente conferito loro dall’art. 41 della CEDU. Attenendosi alla lettera della disposizione da ultimo citata, la Corte di Strasburgo non sarebbe legittimata ad ordinare allo Stato autore della violazione il ripristino dello stato di fatto anteriore al compimento dell’illecito né, qualora la restitutio in integrum si rivelasse inattuabile, essa potrebbe accordare alla parte lesa un risarcimento per il danno subìto.La Corte, dunque, può unicamente prevedere a favore della vittima un’«equa soddisfazione», ma solo nel caso in cui l’ordinamento dello Stato autore della violazione non abbia permesso di riparare adeguatamente.
Avendo natura dichiarativa, le sentenze della Corte dovrebbero perciò limitarsi ad accertare se, nel caso sottoposto a giudizio, vi sia stata la violazione di una disposizione convenzionale, non potendo invece rimediare esse stesse alle violazioni constatate attraverso l’annullamento o la modifica delle norme interne oggetto di contestazione, o attraverso l’imposizione alla Stato responsabile di altre misure riparatorie specifiche.
I recenti orientamenti della Corte di Strasburgo sembrano contraddire la tesi da ultimo citata. A differenza del passato, infatti, le sentenze della Corte non si limitano semplicemente ad accertare la compatibilità con la Convenzione europea degli effetti che determinate misure statali producono in capo al ricorrente, ma sono altresì solite andare oltre l’oggetto formale della causa, valutando in astratto le conseguenze che quelle stesse misure sono suscettibili di produrre nei confronti di chiunque venga a trovarsi in una posizione analoga a quella del ricorrente.
In conseguenza di ciò, oltre alla ordinaria efficacia di cosa giudicata in senso sostanziale, discendente dall’art. 46 §1 della Convenzione europea, le sentenze della Corte sembrano dotate di un quid pluris, consistente nel porre a carico dello Stato responsabile di una violazione della Convenzione un obbligo aggiuntivo di adottare provvedimenti a carattere generale destinati a scongiurare il ripetersi di violazioni analoghe a quelle già accertate dalla Corte.
Questo nuovo orientamento giurisprudenziale fornisce lo spunto per riflettere sia sull’estensione della competenza della Corte europea a pronunciarsi sulle conseguenze derivanti dalla violazione della CEDU, sia sugli effetti che le sentenze della medesima possono produrre nell’ordinamento giuridico interno dello Stato responsabile. In particolare, l’obiettivo della ricerca è di verificare, alla luce della giurisprudenza degli organi di Strasburgo e della prassi statale, se l’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte implichi anche l’adozione di misure a portata individuale, come la revisione di processi interni conclusisi con una sentenza passata in giudicato, e di misure a carattere generale, quali abrogazioni legislative, modifiche di norme statali e di prassi amministrative o giudiziarie.

In recent years, the decisions of the European Court of Human Rights have covered a broader range of arguments than those originally envisaged by Article 41 ECHR.
According to the letter of this Article, the Strasbourg Court would not be entitled to order the responsible State to restore the state of affairs that existed before the wrongful act was committed; nor would the Court be entitled to grant the injured party compensation for the damage suffered if restitutio in integrum is not possible. The Court, therefore, can only award “just satisfaction” to the injured party, but only if domestic law does not allow complete reparation to be made.
Given their declarative nature, the judgments of the Court should only establish whether there has been a breach of a treaty provision in the specific case before the Court. On the contrary, said judgments should not be allowed to restore the infringements of the Convention by annulling or amending the censored internal provisions, or by ordering the responsible State to adopt measures of restitution in kind.
The recent orientations of the Strasbourg Court seem to contradict this idea. Indeed, in contrast with the past, the judgments of the Court do not merely assess the compatibility with the ECHR of the effects produced by certain domestic measures to the detriment of the applicant. They go beyond the simple identification of wrong individual decisions, by also evaluating in abstracto the consequences that systemic problems are likely to have on any other person in a similar situation to that of the applicant. As a consequence, in addition to the ordinary res judicata effect stemming from Article 46, par. 1 of the ECHR, the Court's judgments are characterized by a quid pluris.
In other words, they seem to imply an additional obligation on the state that is responsible for a violation of the Convention, by binding the same state to adopt measures of a general nature, in order to prevent the reiteration of violations similar to those found by the Court. This innovative case-law provides an opportunity to reexamine both the extent of the Court’s competence to make pronouncements on the consequences resulting from a breach of the ECHR, and the effects that the same judgments can produce in the domestic legal system of the responsible states. In particular, the purpose of this section is to verify, in the light of Strasbourg case-law and state practice, whether the obligation to comply with the decisions of the Court also requires the adoption of individual measures, such as the revision of a final judgment, and of measures of a general nature, such as the abrogation or modification of a statute, or changes in administrative or judicial practices.

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Enforcement delle decisioni della Corte di Strasburgo
The Enforcement of ECtHR Decisions



    SARTARELLI S. – Il caso Provenzano e il diritto di (umanamente) morire

    Abstract

     Premettendo che…. – In un clima socio-politico come quello attuale, contrassegnato da diffusi sentimenti di violenza e da risentimenti sovranisti marcatamente anti-europeisti, una sentenza della Corte EDU come quella in esame che addirittura “si è permessa” di intervenire sulla problematica, tutta italiana, del trattamento penitenziario dei mafiosi non poteva che essere accolta da sdegnate polemiche. In realtà, la Corte Europea dei Diritti Umani, “dei Diritti Umani” appunto, si è limitata a sottolineare come l’umanità della pena, o meglio, l’umanità (-dignità) della morte durante l’esecuzione di una pena detentiva possa patire un giustificato indebolimento solo in presenza di comprovate e giudizialmente motivate ragioni di sicurezza.

    Più in particolare, la Corte EDU con la sentenza del 25 ottobre 2018 (ricorso n. 55080/13, Provenzano c. Italia) ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 Cedu ovvero per la contrarietà al divieto di pene o trattamenti inumani e degradanti del solo ultimo decreto di proroga del regime carcerario differenziato previsto dall’art. 41 bis ord. penit. (quello del 23 marzo 2016), emesso nei confronti del detenuto Bernardo Provenzano senza una congrua valutazione dell’intervenuto, ulteriore, deterioramento delle sue funzioni cognitive. […]

    In a political climate such as the current one, marked by feelings of violence and markedly anti-European resentments, the sentence ruled  by the ECHR in the case of Provenzano which intervened on the Italian problem of the mafia prison treatment could only be accepted from strong controversy. However, the European Court of Human Rights has limited itself to underlining how the principle of the punishment humanity and its execution can suffer a justified weakening only in the presence of proven and justified security reasons..

     

    SARTARELLI S. – Il delitto di tortura tra testo normativo “problematico” e formante giurisprudenziale “derivato”

    Abstract

    SOMMARIO: 1. Breve premessa. – 2. Il parametro di riferimento dell’art. 3 Cedu. – 3. Il possibile apporto della giurisprudenza nostrana.

    1. Breve premessa. – Che la legge n. 110/2017 istitutiva del delitto di tortura italiano fosse, da parte del nostro ordinamento, un “atto dovuto”, nessuno ne dubita. La mancanza di una tutela penale ad hoc per tale tipologia di condotte era, infatti, sotto gli occhi di tutti, oltre che rimarcata in più occasioni dagli organismi internazionali più autorevoli. Quello di cui si è dubitato, all’indomani dell’entrata in vigore della sopracitata legge, è stato della sua capacità di colmare, adeguatamente, quel vuoto di tutela ormai divenuto intollerabile .

    Le perplessità suscitate dal testo del nuovo art. 613bis c.p. sono state molteplici e senza dubbio, «testualmente» fondate, tuttavia, tramite l’ausilio di una interpretazione, la più «Convenzionale» possibile, se ne potrebbe auspicare un loro cauto ridimensionamento.
    D’altronde, il forte legame esistente tra il testo della norma incriminatrice di cui si tratta e l’attività giurisprudenziale della Corte EDU che della omonima Convenzione è, non solo immediato organo applicativo, ma anche, e per certi versi soprattutto, organo interpretativo, si ravvisa già nella stessa introduzione delle disposizioni penalistiche nostrane, la cui esistenza si deve sia alla (tardiva) esecuzione degli obblighi internazionali, sia (più efficacemente) alle condanne della Corte EDU inflitte all’Italia per la violazione dell’art. 3 Cedu. Come non menzionare la sentenza Cestaro c. Italia con cui la Corte di Strasburgo ha inferto all’Italia una sonora condanna, riscontrando la perpetrazione di veri e propri atti di tortura ad opera delle forze di polizia nella ormai nota e triste vicenda genovese. La Corte, con l’occasione, denunciava la necessità che l’Italia provvedesse al più presto ad introdurre una specifica norma incriminatrice “armata” di sanzione effettiva ed adeguata che fosse allineata alla definizione di tortura coniata in ambito internazionale. Non solo. Nella stessa pronuncia, si puntava il dito anche avverso l’effetto di impunità derivante dalla prescrizione, ciò che finiva per tradursi in una sorta di ulteriore ingiustizia patita dalle vittime .
    […]

    If we consider that after more than thirty years since the ratification of the UN Convention on Torture of 1984, Italy has succeeded in carrying out the international obligations assumed only after the “ultimatum” launched by the Court of EDU in the Cestaro judgment is evident as the activities of the Court of Strasbourg played an important role in the “birth” of the torture crime in our penal code. The article focuses the possibility that the interpretive activity of art. 3 Cedu made by the same Court and also the internal jurisprudential activity carried out on homogeneous concepts to those contained in the art. 613bis c.p. can support a more reasonable interpretation of the legal text.

     

    ALLEGRUCCI C. – La legge 110/2017 e gli obblighi internazionali dell’Italia in tema di tortura

    Abstract

    1. Premessa. – Con l’approvazione della legge 110, avvenuta il 14 luglio 2017, l’Italia ha final-mente introdotto nel suo ordinamento il reato di tortura, colmando un vuoto legislativo ormai intolle-rabile. L’importante novella legislativa – oltre alle norme incriminatrici di cui agli articoli 613bis e 613ter c.p. sono state introdotte norme procedurali in materia di utilizzo delle prove raccolte tramite il ricorso a tortura, disposizioni relative all’estradizione dei responsabili e modifiche al testo unico sull’immigrazione – arriva con un ritardo di quasi trent’anni rispetto alla ratifica, da parte dell’Italia, della Convezione delle Nazioni Unite contro la tortura, i trattamenti e le pene inumani e degradanti, datata 1984. A dare impulso decisivo al procedimento legislativo, che in passato si era sempre risolto in un nulla di fatto, hanno probabilmente contribuito le sentenze di condanna dell’Italia pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale – soprattutto in anni recenti – ha evidenziato come la mancanza di una previsione legislativa che sanzionasse adeguatamente la tortura si traducesse in una violazione procedurale dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: con ciò dimostrando la debolezza dell’argomento tradizio-nalmente addotto dai governi italiani, e cioè che a reprimere tale odiosa condotta fossero sufficienti i reati già previsti dal codice penale (e segnatamente le norme in materia di percosse e di lesioni per-sonali). […]

    Almost 30 years after its ratification of the UN Convention against Torture, Italy has finally ap-proved a law introducing torture as a discrete crime. This long-awaited development, however, has been met with some criticism, as many maintain that law 110/2017 does not fully satisfy the interna-tional requirements in terms of preventing and punishing torture. This article focuses on such inter-national requirements: by examining first the torture-addressing international instruments binding upon Italy and then the provisions of law 110/2017, it aims to assess wether Italy has fulfilled its in-ternational obligations.

    ALLEGRUCCI C.-Quel pasticciaccio brutto di via Guerzoni: la Corte Europea condanna l’Italia per il sequestro dell’imam Abu Omar

    Abstract

    13 years after the abduction of Osama Mustafa Nasr (Abu Omar) in Milan by CIA operatives, the European Court of Human Rights rules that Italy violated the prohibition of torture and inhuman and degrading treatment, the prohibition of arbitrary detention, the right to private and family life and the right to access to court, and orders the respondent government to pay damages in compensation to both Abu Omar and his wife, Nabila Ghali. In doing so, the Court deals with the sensitive matter of State secret, ruling that the Italian government invocation of the above mentioned privilege was meant to prevent the conviction of five SISMI (the Italian military secret service) operatives; yet it avoids taking a stance on the broader issue of the consistency of State secret with the European Convention of Human Rights. This article attempts to summarize the long legal procedure that followed the extraordinary rendition of Abu Omar, and to question whether the ECHR judgement has answered some of the issues raised by the Italian Supreme Court. […]

    1. La sentenza del 23 febbraio 2016, con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per violazione della Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in relazione alla “extraordinary rendition” dell’imam Abu Omar rappresenta l’ultima (e, si spera, finale) tappa di una vicenda lunga e complessa, che nel corso di un decennio ha visto intervenire per ben due volte la Corte Costituzionale, nonché due diverse sezioni della Corte di Appello di Milano e della Cassazione.La Corte di Strasburgo sanziona l’Italia per la violazione degli artt. 3, 5, 8 e 13 della citata convenzione: ma sono i paragrafi relativi al volet procedurale dell’art. 3 a contenere gli elementi più interessanti. […]

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