Vita privata e familiare

Private and family life

NULLO L. – La Corte EDU condanna l’Italia sul “caso ILVA”. Alla ricerca di un equilibrio tra tutela della salute, rispetto dell’ambiente ed esercizio di attività economiche di interesse nazionale.

Abstract

With the judgment Cordella e altri c. Italia, The European Court of Human Rights back to rule on the “ILVA case”, condemning the Italian State for the violation of art. 8 C.E.D.U. (right to private life) because the institutional authorities failed to take the necessary measures to protect the right of those concerned to respect their private lives, on which the polluting emissions of ILVA would have interfered. The ECHR also decides for the violation of the art. 13 C.E.D.U. (right to have an effective remedy), considering that the Italian legal system was devoid of internal remedies by which the inhabitants concerned could have complained about the failure to implement the environmental recovery plan required by the “save-ILVA” decrees and, ultimately, effectively defending against the violation of a right protected by the European Convention. […]

Con la sentenza Cordella e altri c. Italia , la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata sul noto “caso Ilva”, condannando lo Stato italiano per violazione dell’art. 8 C.E.D.U. (diritto al rispetto della vita privata e familiare), in quanto le autorità istituzionali avrebbero omesso di adottare quelle misure necessarie per proteggere il diritto degli interessati al rispetto delle loro vite private, sulle quali avrebbero interferito le emissioni inquinanti dell’acciaieria ionica. Il decidente europeo ha altresì ravvisato la violazione dell’art. 13 C.E.D.U. (diritto a un ricorso effettivo), ritenendo che l’ordinamento italiano fosse inoltre privo di vie di ricorso interne per mezzo delle quali gli abitanti interessati avrebbero potuto lamentare la mancata attuazione del piano di risanamento ambientale previsto dai decreti “salva-Ilva” e, in definitiva, difendersi in modo effettivo a fronte della violazione di un diritto sancito dalla Convenzione.
Pur a fronte di tali constatazioni, tuttavia, alle vittime non è stato accordato alcun risarcimento, in quanto la Corte EDU, come in altre occasioni , ha ritenuto che l’accertamento delle violazioni costituisse una riparazione sufficiente per il danno morale subito (§ 187). […]

RIZZO A. – La Corte di Strasburgo decide il caso Ilva, ovvero: quando la negligenza dei governi mette a rischio la salute delle persone.

Abstract

Con sentenza del 26 gennaio 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione in particolare dell’art. 8 CEDU, nel caso concernente i mancati interventi a tutela dell’ambiente che lo Stato avrebbe dovuto porre in essere nell’area urbana e limitrofa alle industrie Ilva di Taranto. La Corte non solo applica in modo conforme a sua precedente (ma non troppo risalente) giurisprudenza la norma richiamata, ma introduce anche criteri di valutazione più ampi (come ad es. il concetto di “benessere della collettività”) per riscontrare una consolidata situazione di assenza di interventi adeguati lungo un periodo temporale considerato oggettivamente troppo esteso e, come tale, idoneo ad aggravare in modo particolare le condizioni di vita degli individui interessati. Rileva, in tale contesto, anche la violazione dell’art. 13 CEDU, in quanto i mezzi di ricorso interni esperiti nel corso degli anni per far fronte alla situazione di degrado ambientale creata dall’Ilva si sono rivelati in fatto del tutto inconferenti ai fini di soddisfare esigenze fondamentali dei privati, inerenti alle loro condizioni di vita e alla loro salute.

In a ruling of January 26th 2019 (Cordella et autres c. Italie), the European Court of Human Rights condemns Italy for violation of art. 8 ECHR, in the case concerning the lack of measures to protect the environment that the State should have implemented in the areas around Ilva industries. The Court does not only apply the above mentioned standard in accordance with its previous jurisprudence, but it also introduces broader evaluation criteria (such as the concept of “community welfare”) to assess a consolidated situation of absence of adequate interventions along a time period considered objectively too extensive and, as such, fit to aggravate in a particular way the living conditions of the individuals concerned. In this context, the Strasbourg Court condemns Italy also for infringement of art. 13 ECHR, as the internal remedies aimed at dealing with the environmental degradation created by Ilva industries over the years have proved inapt with the view of meeting effectively same individuals’ essential needs inherent to their living conditions and health.

 

VANNUCCINI S. – Diacronia dello sviluppo giurisprudenziale e legislativo della disciplina sul parto anonimo e sulla conoscenza dei propri veri natali

Abstract

This paper deals with the interaction of two potentially competing rights, and the ways in which they can be balanced against each other: the right of the mother to remain anonymous after giving birth, without recording her name on the child’s birth certificate, and the right of the newborn to know his/her parentage, i.e. his/her biological family, ascendance and conditions of birth, as an integral part of the right to an identity.
The evolution of the regulation of anonymous birth – from the blind preference to the person who wishes to keep her identity secret (with the consequence that the right of the person abandoned at birth to find his/her origins is entirely neglected and forgotten) to the recognition that the problematic issue does not lie in the mother’s right to anonymity per se, but rather in its irreversible nature, and to the progress on the implementation of the child’s right to knowledge of his/her personal history (and similar right to knowledge on the side of the mother who desires to initiate a search for her child) – is studied through a diachronic analysis of the judicial and legislative development on this matter in the Italian Legal System.
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LOMBARDI A. – Il controllo delle comunicazioni elettroniche del lavoratore alla luce della sentenza Bărbulescu c. Romania della Grand Chamber

Abstract

SOMMARIO

1. Introduzione.
2. Il caso Bărbulescu contro Romania.
2.1. I fatti
2.2. La sentenza della Grand Chamber
2.3. Applicazione dei principi al caso Bărbulescu ed affettività.
3. Dalla interpretazione restrittiva adottata dalla Corte Edu del diritto alla privatezza delle comunicazioni elettroniche del lavoratore, alla Grand Chamber.
4. Brevi cenni sulla disciplina italiana.
1. Introduzione
La sentenza Bărbulescu c. Romania, oltre ad affrontare un tema di grande attualità, concernente il bilanciamento tra il diritto del datore di lavoro di controllare i dispositivi elettronici aziendali lasciati in uso ai dipendenti e quello del prestatore che si rende inadempiente rispetto al relativo utilizzo, ha destato particolare interesse, tra gli addetti ai lavori e non, per il pronunciamento della Grand Chamber della Corte Edu, la quale dopo anni di sentenze, che già di per sé introducevano elementi di innovazione e riflessione rispetto al tema, si è discostata dai giudizi che l’hanno preceduta riconoscendo la violazione dell’art. 8 CEDU.
Come detto, il tema è particolarmente attuale e delicato in virtù dei numerosi problemi connessi all’avvento delle tecnologie sui luoghi di lavoro, che determinano pericoli sia in termini di produttività, posto che il lavoratore allorquando utilizza le risorse aziendali per scopi personali sottrae tempo allo svolgimento della mansione cui è adibito, oltre a comportare costi per l’impresa, imputabili all’eventuale attività illecita svolta in rete, che potrebbe compromettere la sicurezza dei sistemi informatici. La questione non è di facile risoluzione, posto che gli interessi in gioco sono entrambi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico ed occorre, dunque, che sia garantito un bilanciamento dei diritti sia del lavoratore alla propria privacy, sia del datore al rispetto delle limitazioni poste .[…]

The issue of employee control over workers, implemented through monitoring of e-mails and devices in their use, is of interest because of the importance of IT tools in the manufacturing process.
On this topic there are numerous precedents of the ECHR Court (for example Copland vs. Great Britain) in which it has been asserted that the use of IT tools at work for private purpose is protected by Article 8 ECHR.
However, those precedents were subject to review by the ECHR Court, which adopted a restrictive interpretation of that Article in the Bărbulescu vs. Romanian judgement and it affirmed the legitimacy of checking the correspondence between the worker and third parties that involved workers private aspects.
In September 2017, the ECHR Grand Chamber was called upon to rule again on the facts of the that judgment and the Court affirmed the applicability of the protection of Article 8 ECHR provided that the monitoring will be in accordance with the principles of transparency and proportionality.

STEFANELLI S. – Illegittimità dell’obbligo del solo cognome paterno

Abstract

SOMMARIO: 1. Concorrente attribuzione del cognome materno, per accordo tra i genitori. – 2. Residue ipotesi di automatica attribuzione del solo cognome paterno. – 3. Disegni di legge di riforma.

1. Concorrente attribuzione del cognome materno, per accordo tra i genitori

Dopo aver ripetutamente rinunciato ad incidere sulla pur rilevata illegittimità della norma – immanente nel sistema e desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ. e dagli artt. 33 e 34 del Regolamento di Stato civile approvato con d.P.R. n. 396 del 2000 – che impone l’attribuzione del cognome paterno al figlio di genitori coniugati, la Corte Costituzionale ha finalmente superato l’eccezione che ascriveva la decisione alla discrezionalità del legislatore, ed ha inciso sulla cognominizzazione non solo dei figli matrimoniali, ma anche di quelli nati fuori del matrimonio e riconosciuti contestualmente dai genitori e di quelli destinatari di sentenza di adozione parentale, ai sensi del Titolo I della l. n. 184 del 1983.
Tale previsione aveva passato indenne un primo vaglio di costituzionalità, avendo ritenuto la Consulta che il limite all’uguaglianza tra i coniugi fosse giustificato dall’esigenza di salvaguardare l’unità della famiglia , ma in una più recente occasione la Consulta non aveva mancato di evidenziare come «l’attuale sistema di attribuzione del cognome (fosse) retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto romano della famiglia, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna», e si ponesse in contrasto con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia. La declaratoria di incostituzionalità fu allora evitata solo in quanto l’accoglimento della questione avrebbe lasciato «aperta tutta una serie di opzioni, che vanno da quella di rimettere la scelta del cognome esclusivamente a detta volontà – con la conseguente necessità di stabilire i criteri cui l’ufficiale dello stato civile dovrebbe attenersi in caso di mancato accordo – ovvero di consentire ai coniugi che abbiano raggiunto un accordo di derogare ad una regola pur sempre valida, a quella di richiedere che la scelta dei coniugi debba avvenire una sola volta, con effetto per tutti i figli, ovvero debba essere espressa all’atto della nascita di ciascuno di essi». Si richiedeva, in altri termini, una pronuncia che esulava dalle «rime obbligate» che confinano i poteri della Corte .
Corte[…]

The Constitutional Court has declared the unconstitutionality of several provisions of the Civil Code (Articles 237, 262 and 299) and Articles 33 and 34 of Presidential Decree No. 396/ 2000 providing for the automatic attribution of the paternal surname to legitimate children, also when the parents wish otherwise, in a case referred to it by the Court of Appeal of Genoa in which an Italian-Brazilian couple want to give their son both surnames, the maternal and paternal ones. The Constitutional Court held that the automatic attribution of paternal surnames is not consistent with the principle of equality between the sexes and violated the child’s constitutional right to his -or her- own personal identity.

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